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Attività sperimentale sulla concia della pelle in età preistorica (Numana, An)
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Estrazione del vasellame dalla fornace celtica (Bundan Celtic Festival, luglio 2006)
Foggiatura di ceramica celtica con il tornio a piede
Caratteristiche strutturali delle fornaci secondo la verifica sperimentale
Riproduzione sperimentale di bucchero padano: la documentazione di riferimento
Capacità termiche dei forni preistorici per ceramica. Primi dati
Rinasce L'"Idromele di Romagna": un progetto di arch-eno-logia sperimentale (Stellata di Bondeno, Fe)
Archeologia sperimentale a Trigallia 2005 (Parco della Pieve di Argenta, Fe)
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Ricostruzione sperimentale e utilizzo sistematico di una fornace celtica di tradizione indigena (Faenza, Ra - Novembre 2004)
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COS'E' L'ARCHEOLOGIA SPERIMENTALE?
testo a cura di Roberto Deriu

Secondo la recente definizione di Mathieu (2002), l’Archeologia Sperimentale è una sotto-disciplina della ricerca archeologica, che impiega vari metodi, tecniche, analisi ed approcci all’interno di un contesto caratterizzato da un esperimento imitativo controllabile per la replicazione di fenomeni passati (da oggetti a sistemi) con il fine di generare e verificare ipotesi che possano fornire o migliorare analogie per interpretazioni archeologiche (Mathieu 2002, Comis 2004).
Da alcuni anni questa disciplina si sta diffondendo globalmente in ambito educativo e turistico, mostrando l’efficacia dell’attività pratica per la comprensione e la divulgazione delle dinamiche socio-culturali delle società antiche.
In Danimarca, ad esempio, questa disciplina è applicata da almeno un cinquantennio, coniugando con successo i dati di scavo all’attività di ricerca sperimentale, incentrata particolarmente sullo studio del degrado strutturale, e ricavando dalla sperimentazione stessa attività didattiche e divulgative rivolte al grande pubblico.

Sebbene in Italia la sperimentazione applicata all’archeologia si stia affermando tardivamente rispetto alle altre nazioni europee ed extraeuropee, a partire dal 1999 sono stati organizzati alcuni convegni (Torino 1999, Fiavè – Tn - 2001/2002) che hanno contribuito a sollevare l’interesse della comunità scientifica verso l’ambito archeologico italiano in rapporto alla sperimentazione. In questo senso sono moltissimi i contesti archeologici nei quali questa disciplina potrebbe essere applicata contribuendo concretamente all’interpretazione, soprattutto in ambito preistorico e protostorico, dove l’evidenza archeologica si presenta particolarmente lacunosa e degradata.

Per poter fornire dati affidabili e rilevanti nell’interpretazione archeologica occorre realizzare esperimenti controllabili. Il primo contributo metodologico (Reynolds 1999) definisce le caratteristiche necessarie per rendere significativo l’esperimento:

1) Deve soddisfare i canoni delle discipline accademiche o tecnologiche a cui si riferisce
2) Deve essere ripetibile e ripetuto.
3) Deve essere progettato per fornire risultati statistici
4) Deve fornire risultati confrontabili con i dati archeologici dai quali era stata dedotta l’ipotesi verificata sperimentalmente. Se il confronto mostra esiti positivi l’ipotesi può essere ritenuta valida. Se i risultati sono negativi l’ipotesi deve essere rifiutata, generando una nuova ipotesi da verificare. Questa regola implica la necessità di non modificare la procedura durante l’esperimento, fattore che comporterebbe la perdita della scientificità in base al principio popperiano di falsificazione.

Esperimenti di prima e seconda generazione

Per valutare correttamente la natura delle variabili coinvolte nei processi indagati e stabilirne la reciproca interazione occorre compiere esperimenti preliminari definiti da Mathieu esperimenti di prima generazione (Mathieu 2002). In questi esperimenti il controllo della replicazione del fenomeno passato è molto limitato e di tipo imitativo, in quanto l’obiettivo è stimolare le prime valutazioni sulla tecnologia indagata. Nel corso di questi lavori possono nascere nuove ipotesi da testare ma non si giunge alla verifica per via dello scarso controllo che ostacola la ripetizione degli esperimenti annullando il valore statistico. Una volta determinate le variabili significative si può procedere ad esperimenti di seconda generazione (Mathieu, 2002), caratterizzati da un maggiore controllo dovuto all’isolamento delle variabili e da un protocollo scientifico disciplinato volto a garantire la reiterazione della procedura.

Contesto archeologico e sperimentale a confronto

Terminate le procedure sperimentali i risultati devono essere confrontati con la realtà archeologica, giungendo alla conferma o alla confutazione dell’ipotesi. In questo ambito sono fondamentali le cosiddette collezioni di riferimento, composte da oggetti altamente controllati in quanto ottenuti da esperimenti documentati, impiegate negli studi funzionali sui manufatti e nell’analisi delle tracce d’uso (Comis 2004). Per assicurare uno sviluppo coerente e ottimizzato di questa disciplina, evitando ripetizioni inutili, è necessario condividere esplicitamente i processi sperimentali nell’ambito della comunità scientifica (Reynolds 1999).

In conclusione i concetti suddetti non consentono di considerare come Archeologia Sperimentale tutte quelle attività di tipo didattico-dimostrativo che pur avvalendosi di tecnologie arcaiche sono prive di una reale impostazione scientifica nella raccolta dei dati e nell'attuazione del procedimento pratico indagato. in questi casi è più corretto parlare di "laboratori didattici di tecnologia antica".

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Coles, John Morton (1979), Experimental archaeology, London.

Reynolds, Peter J. (n.y.) - "Experiment and Design in Archaeology" in honour of John Coles - published by Oxbow Books 1999, pp 156-162, edited by A F Harding.

Mathieu, James R. (editor), (2002), Experimental archaeology, replicating past objects, behaviors and processes, BAR International Series 1035, Oxford.

Comis, Lara (2004) - Archeologia Sperimentale come strumento di ricerca, Padusa, anno XL, 2004.

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